Partiamo dall’epilogo
Con comunicato n.11/A del 9 luglio 2021 il Consiglio Federale FIGC ha reso pubbliche le determinazioni assunte nella riunione del 7 luglio 2021. Nell’occasione sono state preliminarmnte ricordate le eccezioni e indicazioni anzi tempo contenute nel Comunicato Ufficiale n. 249/A del 20 maggio 2021. Con le stesse il Consiglio Federale FIGC invitava il dott. Claudio Lotito, che esercitava ai sensi del comma 2, art. 16 bis delle NOIF una posizione di controllo della S.S. Lazio S.p.a. e della U.S. Salernitana 1919 S.r.l., a “porre termine” a tali “situazioni di controllo diretto o indiretto in società della medesima categoria”, di cui all’art. 16 bis delle NOIF, entro 30 giorni dalla notifica della citata delibera e comunque entro e non oltre 3 giorni prima del termine fissato dalle norme federali per il deposito della domanda di ammissione al Campionato di Serie A 2021/2022, con espressa avvertenza che, nel caso del perdurare di tale situazione, la U.S. Salernitana 1919 S.r.l. non sarebbe stata ammessa alla partecipazione al campionato di Serie A stagione sportiva 2021/2022.
Il Consiglio Fedarle FIGC, detto ciò prendeva atto di aver ricevuto comunicazioni e la relativa documentazione rispettivamente dalle Società “Morgenstern Srl” e “Omnia Service One Srl” (proprietarie delle quote societarie costituentivla U.S. Salernitana 1919 S.r.l) e della COVISOC. Documentazione dalla quale si riscontrava che tra le società S.S. Lazio S.p.a. e della U.S. Salernitana 1919 S.r.l si era posto termine alle “situazioni di controllo diretto e/o indiretto di società della medesima categoria” di cui al Comunicato Ufficiale n. 249/A, nei limiti, alle condizioni e nel rispetto dell’“Atto modificativo di Atto istitutivo del Trust Salernitana 2021”.
Il divieto di multiproprietà
L’art. 7, comma 7, dello Statuto federale FIGC recita: “non sono ammesse partecipazioni, gestioni o situazioni di controllo, in via diretta o indiretta, in più società del settore professionistico da parte del medesimo soggetto”.
L’art. 16 bis delle NOIF dispone ai commi 1 e 2: “1. Non sono ammesse partecipazioni o gestioni che determinano in capo al medesimo soggetto controlli diretti o indiretti in società appartenenti alla sfera professionistica. 2. Ai fini di cui al comma 1, un soggetto ha una posizione di controllo di una società quando allo stesso, ai suoi parenti o affini entro il quarto grado sono riconducibili, anche indirettamente, la maggioranza dei voti di organi decisionali ovvero un’influenza dominante in ragione di partecipazioni particolarmente qualificate o di particolari vincoli contrattuali”.
Nel 2013 con comunicato ufficiale n. 7/A del 9 luglio il Consiglio Federale modificava il comma 4 dell’art. 16 bis delle NOIF specificando: “4. non si dà luogo alle sanzioni di cui al comma 3, qualora il controllo derivi da successioni mortis causa a titolo universale o particolare o da altri fatti non riconducibili alla volontà dei soggetti interessati. Qualora sopravvengano per i suddetti motivi situazioni tali da determinare in capo al medesimo soggetto situazioni di controllo diretto o indiretto in società della medesima categoria, i soggetti interessati dovranno darne immediata comunicazione alla FIGC e porvi termine entro i 30 giorni successivi”. In tale occasione proprio il Dott. Lotito, Consigliere Federale in quota Lega di Serie A rilevava “..come la proposta avanzata con buon senso dal Presidente permetta ad un presidente di una società di serie A di mantenere il controllo di una società dilettantistica e non già professionistica che nell’evoluzione del suo percorso agonistico può giungere fino a militare nel campionato di serie B. E’ di tutta evidenza che una eventuale promozione della seconda società comporterebbe la perentoria attivazione della normativa federale – art. 16 delle NOIF – il quale già prevede l’obbligo di alienazione della situazione di controllo entro i 30 giorni successivi alla sopravvenuta compresenza nello stesso campionato”.
Nel successivo mese di settembre con delibera n. 307 la Giunta Nazionale del CONI approvava le modifiche al testo dell’art. 16 bis delle NOIF osservando nella nota allegata “la stessa Federazione inoltre con il citato provvedimento ha escluso la possibilità di controlli societari plurimi nella medesima categoria dunque anche qualora siano scaturiti da fatti non dipendenti dalla volontà degli interessati. Tale divieto risponde alla imprescindibile finalità di garantire la regolarità del campionato preoccupazione questa che invece non è riscontrabile quando le squadre militano in categorie diverse”.
Il Blind Trust
Come sopra ricordato quindi, la U.S. Salernitana 1919 ha documentato che in apparente adempimento alle prescrizioni della Federazione Italiana Giuoco Calcio, la Omnia Service S.r.l. e la Morgenstern S.r.l. hanno trasferito l’amministrazione e gestione delle loro rispettive partecipazioni- pari all’intero capitale sociale della U.S. Salernitana 1919 S.r.l.- al Trust “Salernitana 2021”: un c.d. “Blind Trust”. Ma cos’è un Blind Trust?
Innanzitutto cos’è il Trust?
Giuridicamente il trust viene trattato affiancandolo al negozio fiduciario, perché ha, in effetti, alcuni caratteri simili a questa figura. Tuttavia, come stiamo per vedere, sono maggiori le differenze che le affinità. Si tratta infatti di un istituto che fino a poco tempo fa era sconosciuto in Italia perché era incompatibile con le regole del nostro sistema giuridico, ma, al contrario, è ben conosciuto e molto utilizzato in altri ordinamenti, specie quelli di matrice anglosassone. Tuttavia il trust è diventato operante anche nel nostro paese a partire dal 1992, anno in cui l’Italia ha ratificato la convenzione dell’Aja del 1985 sul riconoscimento di questo istituto e sulla legge applicabile ad esso. Il successo di questo istituto (tanto che taluno parla di una vera e propria corsa al trust a livello mondiale) deriva dall’estrema flessibilità e duttilità di esso, che lo rende idoneo a raggiungere (parliamo dell’ordinamento italiano) risultati giuridico-economici di notevole rilievo, irraggiungibili per altre vie. Di volta in volta infatti il trust potrà conseguire (lecitamente) gli stessi traguardi del negozio di fondazione, del fondo patrimoniale, del mandato, del patto commissorio o di qualsiasi altro negozio di garanzia, della sostituzione fedecommissaria, del negozio fiduciario; il tutto, però, senza incorrere nelle sanzioni e nei divieti previsti per queste figure. Molto successo, poi, l’istituto ha all’estero nelle operazioni di gestione del risparmio pubblico. Insomma il motivo per cui il trust ha avuto questa diffusione e ha destato in tal modo l’attenzione di molti studiosi, deriva dal fatto che esso si risolve in un formidabile strumento dell’autonomia privata, più duttile, potente, maneggevole, di molti altri istituti tipici della civil law. In base alla convenzione il trust ricorre quando un soggetto (detto settlor) sottopone dei beni, con atto mortis causa o inter vivos, sotto il controllo di un altro soggetto (detto trustee) nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico (articolo 2). La norma precisa altresì:che i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee (sia nel caso in cui siano a lui intestati, sia nel caso in cui siano intestati ad altra persona);che il trustee ha il potere-dovere di amministrare o disporre dei beni secondo quanto previsto dall’atto costitutivo o dalla legge;che non è incompatibile con l’esistenza del trust il fatto che il costituente si riservi alcune prerogative o che al trustee siano riconosciuti alcuni diritti come beneficiario.
In tale contesto blind trust, o trust “cieco”, è un una forma di trust usato in passato genere per evitare conflitti di interessi quando si assumono ruoli pubblici o incarichi privati dai quali potrebbero derivare vantaggi per il proprio patrimonio, se le informazioni acquisite nello svolgimento dell’incarico fossero usate per finalità personali: è questa una delle molteplici finalità per le quali il trust può essere utilizzato, già in passato giunta più volte all’onore delle cronache. Se ne parlò all’inizio del 2006 nel caso delll’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi: prima di assumere la carica di governatore della Banca d’Italia, vendette gli strumenti finanziari di sua proprietà e sottopose il ricavato al vincolo di un blind trust . Se ne è poi discusso a più riprese con riferimento a Silvio Berlusconi, per capire se si potesse trattare di uno strumento utile per separare i suoi interessi personali dalla sua attività politica. Al blind trust è ricorsa, in passato pure la società Vivendi con riferimento alla sua partecipazione in Mediaset; così come Luigi Brugnaro, ex sindaco di Venezia, pare averlo utilizzato sempre allo scopo di marcare il confine tra attività politica e affari personali. Tale strumento è tornato di attualità a causa di una recente sentenza della Commissione Regionale Tributaria Lombardia (2999 del 9 luglio 2019, sezione 3, presidente Rollero, relatore Chiametti) nella quale è stato analizzato sotto il profilo fiscale: decisione tributaria a parte, la vicenda racconta di un blind trust istituito su volere di un noto banchiere in procinto di assumere una rilevante posizione in un primario istituto bancario, al fine di evitare, appunto, conflitti di interessi. Il trust è “cieco” quando viene istituito dal disponente con lo scopo di affidare il proprio patrimonio finanziario al trustee affinchè questi lo gestisca a sua completa discrezione (sia pure secondo profili di rischio indicati dal disponente), senza informare il disponente degli investimenti e dei disinvestimenti effettuati. In sostanza, da un lato, il disponente può svolgere serenamente la sua professione o il suo incarico senza essere condizionato dal suo patrimonio finanziario; d’altro lato, egli non può essere sospettato di aver effettuato scelte di investimento del suo patrimonio in base a notizie riservate.
È quindi chiaro che un blind trust “funziona” se il trustee è un soggetto che svolge professionalmente tale attività e che si trova in una situazione di completa indipendenza rispetto al disponente: se si trattasse di una persona (fisica o giuridica) che ha relazioni di parentela, amicizia, affari o professione (o analoghe) tali da evidenziare che non può fondatamente esservi un chinese wall tra il trustee e il disponente, del trust si avrebbe solo una mera apparenza. In tal caso si tratterebbe di un puro e semplice mandato e cioè una strumentazione che non sarebbe qualificabile né come trust né, tanto meno, come blind trust .
Se fino a pochi giorni fa il blindtrust era uno schema “scoraggiato” dalla fiscalità ad esso applicabile, tra giugno e luglio 2019 in Cassazione vi è stata una infilata di sentenze (15453/2019, 15455/2019, 15456/2019, 16700/2019, 16705/2019, 19167/2019, 19310/2019, 19319/2019) – cui la CtrLombardia è conforme – tutte orientate nel senso che l’atto di dotazione di qualunque trust non è considerabile in termini di manifestazione di capacità contributiva. Pertanto, anche l’istituzione e la dotazione di un blind trust dovrebbe averne vantaggio. In parallelo, poi, va rilevato che il trust è oggi finalmente da considerare uno strumento “normale” del nostro ordinamento e non più un artifizio utile solo per furbi, spregiudicati, smaliziati o disponibile solo a chi abbia un’elevata professionalità in materia: se mai ce ne fosse il bisogno, nell’ultima giurisprudenza di legittimità (Cassazione 21 giugno2019, 16705) è stato ribadito che «L’ordinamento vede con favore» il trust «della cui validità e meritevolezza ex articolo 1322 del Codice civile …non è … più dato dubitare»