“IUS SOLI” SPORTIVO

DiAvv. Pierluigi Vossi

“IUS SOLI” SPORTIVO

RIFLESSIONI DELL’ AVV. PAOLO STOPPINI


“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Esso ha il potere di unire le persone in un modo in cui poche altre lo fanno. Parla ai giovani in una lingua che comprendono. Lo sport può portare speranza dove una volta c’era solo disperazione”.

(Nelson Mandela)

  1. Introduzione

 

Prendendo spunto dalla bella cornice definitoria che ci ha suggerito Nelson Mandela, lo sport nel suo valore globale e olistico e’ un fenomeno di grande importanza capace di abbracciare tanto la dimensione meramente competitiva e ludica quanto quella socio-culturale ed educativa.

In questo senso riesce a promuovere valori come la solidarietà, l’unita’, lo spirito di gruppo, la tolleranza, l’uguaglianza, l’integrazione, il rispetto delle regole e l’accettazione delle differenze.

Con particolare riferimento al contesto migratorio, oggetto del presente lavoro, dove identità diverse si incontrano e, in alcuni casi, si scontrano, secondo quanto riportato nel Libro Bianco europeo sullo sport del 2007, lo sport costituisce uno strumento efficace per facilitare l’integrazione degli immigrati nella società, attraverso il dialogo interculturale e un senso comune di appartenenza e di partecipazione.

In questa sede sarà nostra premura focalizzare l’attenzione sul calcio, inteso come il paradigma, il laboratorio sociale ideale e l’esemplificazione naturale della manifestazione simbolica dello sport come strumento di aggregazione e di integrazione.

La scelta del calcio e’ legata alla sua capacità di unire ma anche al fatto che e’ uno degli sport più amati, più praticati e più seguiti al mondo.

In Italia, secondo il Report Calcio 2015, il calcio incide per circa il 25% sui tesserati, italiani e stranieri, e sulle società sportive nelle 45 Federazioni affiliate al CONI.

Non a caso lo studioso Valeri considera questa disciplina come “una cartina di tornasole di ciò che avviene, più in generale, a livello sociale”.

Altro autore, il Gasparini, riflettendo in modo specifico sul ruolo del calcio in contesto migratorio, osserva che si tratta di “un terreno di studio particolarmente interessante per riflettere sulle espressioni identitarie e ripensare l’integrazione dei migranti attraverso lo sport”.

Per Avila, altro noto studioso, “l’impatto di questo gioco sulla vita di ogni giorno lo rende un forte strumento per potenziare le questioni importanti dell’apprendimento permanente e dell’integrazione”.

Come e’ noto, il 16 febbraio 2016 e’ entrata in vigore la l.n. 12/2016, recante “Disposizioni per favorire l’integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva”, che riconosce e formalizza il cd. ius soli sportivo, ovvero la possibilità per i minori stranieri, regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età, di essere tesserati presso tali società sportive con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani.

Si ricorda, inoltre, che nella legge di Bilancio 2018, l.n. 205/2017, all’art. 1, comma 369, e’ previsto che “Al fine di consentire il pieno ed effettivo esercizio del diritto alla pratica sportiva […] i minori cittadini di Paesi terzi, anche non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, laddove siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano, possono essere tesserati presso società o associazioni affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate o agli enti di promozione sportiva, anche paralimpici, senza alcun aggravio rispetto a quanto previsto per i cittadini italiani”.

Stante, quindi, questo recente quadro normativo, il presente lavoro si propone di esaminare alcuni elementi giuridicamente controversi concernenti la garanzia del diritto allo sport per i giovani stranieri, sia attraverso l’analisi della normativa italiana, europea ed internazionale, che tramite una disamina del quadro giurisprudenziale nella prospettiva dei principi costituzionali, anche al fine di verificare quanto gli interventi legislativi operati con la l.n. 12/2016 e con l’art. 1, comma 369, della l.n. 205/2017, garantiscano in misura maggiore l’effettività di tale diritto per i minori di origine straniera: soggetti, questi, che spesso versano in condizioni di evidente e preoccupante vulnerabilità e verso i quali questo studio si prefigge di osservare quanto lo sport riesca concretamente a contribuire ai processi di inclusione sociale.

  1. L’esercizio di attività sportiva da parte degli stranieri nell’ambito della “disciplina multilivello” tra ordinamento giuridico statale, regionale ed ordinamento giuridico sportivo

L’attuale assetto dell’ordinamento sportivo nazionale è principalmente incentrato sulla struttura configurata dal legislatore italiano con il d.lgs. n. 242/1999, come successivamente modificato dal d. lgs. n. 15/2004, sulla riforma del C.O.N.I. e con la l.n. 280/2003, con la quale è stata, allo stesso tempo, riconosciuta formalmente, e delimitata,  l’autonomia dell’ordinamento giuridico sportivo rispetto a quello statale, indicando che nei casi nei quali vi siano questioni aventi ad oggetto lo svolgimento delle attività
sportive da cui possano derivare lesioni di posizioni giuridico-soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, vi è la preminenza di quest’ultimo.

Il sistema sportivo ha, pertanto, assunto “una struttura piramidale a base associativa, al cui vertice si colloca il C.O.N.I., quale Confederazione di tutte le Federazioni sportive, Discipline sportive associate ed Enti di promozione sportiva, a significare la ricomprensione di tutto lo sport entro un sistema unitario e centralizzato che fa capo al C.O.N.I.”.
All’interno di detto modello organizzativo, ferma restando la funzione del C.O.N.I. di “garante dell’unicità dell’ordinamento sportivo nazionale”, agli enti sportivi nazionali riconosciuti, ovverossia alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva, spetta la competenza esclusiva dei propri compiti e, in particolare, della regolamentazione tecnica delle afferenti attività sportive.

Con particolare riferimento agli stranieri, il CONI, in base rispettivamente agli artt. 2, comma 4-bis, 3, comma 1, e 6, comma 4, lett. i), del suo Statuto, detta principi ed emana regolamenti in tema di tesseramento e utilizzazione degli atleti di provenienza estera con l’obiettivo di promuovere la competitività delle squadre nazionali, salvaguardare il patrimonio sportivo nazionale e tutelare i “vivai giovanili”, promuove la massima diffusione della pratica sportiva, anche al fine di garantire l’integrazione sociale e culturale degli individui e delle comunità residenti sul territorio, tenendo conto delle competenze delle autonomie territoriali, individua nel suo Consiglio Nazionale l’organo competente a stabilire i criteri generali per il tesseramento degli atleti di provenienza estera, oltre a parametrare la durata del c.d. “vincolo sportivo”.

La regolamentazione federale sul tesseramento, in base al quale l’ente sportivo nazionale, riconosciuto dal C.O.N.I., autorizza lo svolgimento dell’attività sportiva del tesserato presso l’affiliato consentendone l’ingresso nell’ordinamento sportivo federale e l’acquisizione dei relativi diritti e doveri, per gli atleti stranieri però è sempre stata sottoposta ad eccessive limitazioni, se non gravi impedimenti.

Negli Statuti e nei Regolamenti delle singole Federazioni sportive e Discipline sportive
associate, specialmente in tempi antecedenti l’entrata in vigore della l.n. 12/2016, infatti, sono contenute disposizioni per il tesseramento degli atleti di provenienza estera “non uniformi e tali da delineare un sistema eterogeneo e frammentato”, determinando ciò la suddivisione di detti enti sportivi in gruppi ove è consentito il tesseramento dell’atleta di provenienza estera, ma con limitazioni all’esercizio dell’attività sportiva e in altri ove vengono equiparati gli atleti stranieri agli atleti di nazionalità italiana
senza alcuna distinzione.

Nessuna carta federale, comunque, esclude espressamente il tesseramento di
atleti stranieri in base al criterio della cittadinanza, venendo a porsi in tal caso in assoluto contrasto con i principi dell’ordinamento giuridico sportivo e, specificamente, con quelli dell’art. 2, comma 4, e dell’art. 20, comma 3, dello Statuto del C.O.N.I.

A livello di ordinamento giuridico statale va anche richiamata la normativa sull’immigrazione, principalmente contenuta nella legge delega n. 40/1998, nel d.lgs. n. 286/1998 (T.U. Immigrazione) e nel relativo Regolamento di attuazione D.P.R. n. 394/1999, la quale, nell’ambito delle politiche di accoglienza e di integrazione degli immigrati, risulta particolarmente favorevole alla tutela dei minori.

La disposizione di cui all’art. 27, comma 5 bis, del T.U. Immigrazione, in particolare, disciplina le modalità di determinazione del limite massimo annuale d’ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire tra le federazioni sportive nazionali, le quali sulla base dei criteri generali di assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili, intesi quali vivai giovanili nazionali, e quantomeno per l’attività retribuita, possono comunque essere incentivate a favorire i giovani italiani,
anche rispetto agli stranieri che abbiano fatto ingresso in Italia prima del compimento dei 10 anni.

È interessante qui richiamare anche la l. n. 285/1997, che in merito ai servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero, ritenuti integrativi del percorso educativo scolastico del minore, prevede l’intervento delle scuole e degli enti locali di riferimento.

Il legislatore nazionale mette qui a fuoco e permette l’emersione del valore educativo dello sport che consente la socializzazione, l’organizzazione, il sacrificio, l’osservanza delle regole, il rispetto per i compagni, l’impegno contro la discriminazione e la slealtà sportiva, la realizzazione dei propri sogni e obiettivi, anche al di fuori del periodo in cui si svolgono le attività didattiche, essendo necessario a tali fini che le scuole siano costantemente attrezzate per consentire un’adeguata offerta sportiva.

Da ultimo, risulta pregnante sul tema dell’integrazione dei giovani stranieri attraverso lo sport,  la collaborazione che ha portato il C.O.N.I. e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali–Direzione Generale dell’Immigrazione-a stipulare in data 23 dicembre 2013 e a rinnovare tutti gli anni sino al 2018, un Accordo di programma in materia di Integrazione sociale dei migranti attraverso lo sport e di contrasto alle discriminazioni, nel quale si premette che “La promozione delle politiche di integrazione, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, costituisce uno strumento prioritario per favorire
la convivenza dei cittadini italiani e stranieri, e per consentire allo straniero di partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società; appare, quindi, necessario favorire un processo di sensibilizzazione della società diffondendo i principi universali dell’integrazione e al contempo favorendo l’evoluzione dei processi educativi e culturali”.

All’interno dell’Accordo, sono previsti due principali filoni di intervento, il primo dei quali è dato dal Manifesto Sport e Integrazione: la vittoria più bella, che comprende le linee guida ad alto contenuto educativo, valoriale e formativo, finalizzate a promuovere,
attraverso lo sport, l’inclusione e l’integrazione dei migranti di prima e seconda generazione sul territorio italiano e, nella considerazione della diversità come risorsa, a contrastare la discriminazione razziale e l’intolleranza e che annovera tra i principi fondanti le politiche di integrazione quello della “cittadinanza sportiva”, per cui va garantito a coloro i quali siano nati in Italia da genitori stranieri, da considerare atleti italiani, l’accesso al tesseramento e ai campionati nazionali e internazionali, di ogni disciplina e livello.

Il secondo mezzo di intervento è costituito dalla Campagna informativa e di sensibilizzazione per promuovere la diffusione, l’approfondimento e l’adesione ai principi universali dell’integrazione contenuti nel Manifesto, che dal 2016 ed ancora nel 2018, con il progetto Sport e Integrazione è stata realizzata sia nella scuola che negli ambienti più tipicamente sportivi, avendo come destinatari gli alunni, le loro famiglie e gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado e gli operatori
del mondo dello sport, ovvero le società e le associazioni sportive, i dirigenti, gli allenatori e gli istruttori, gli atleti e i praticanti, al fine di promuovere i principi del “fair play”, di stimolare la riflessione sull’integrazione, di veicolare i valori educativi dello sport e di far comprendere maggiormente il ruolo svolto dallo sport come strumento di inclusione di gruppi multiculturali.

Gli interventi descritti hanno contribuito concretamente alla sensibilizzazione sui temi della lealtà sportiva dei bambini e dei giovani, attraverso l’adozione di misure educative e di prevenzione dei comportamenti “scorretti”, delle pari opportunità nell’accesso alla pratica sportiva, indipendentemente da etnia, cultura, religione ed origine e della diffusione di buone pratiche, per promuovere la diversità nello sport e combattere tutte le forme di
discriminazione.
Per poter affrontare in modo completo il tema del diritto allo sport per i minori stranieri, deve essere, infine, considerato anche l’aspetto della legislazione regionale quale parte del complesso quadro normativo in materia, in cui molti sono i protagonisti, sia a livello internazionale che nazionale, che partecipano alle scelte attinenti alla politica del settore. Nell’attuale assetto costituzionale del riparto di competenze tra Stato e Regioni, di cui al nuovo testo dell’art. 117 Cost., nell’ambito della competenza legislativa concorrente del comma 3, spetta allo Stato determinare i principi fondamentali in materia di “ordinamento sportivo” e alle Regioni regolamentarne la relativa disciplina di dettaglio, tenuto conto, altresì, nel caso dell’accesso alla pratica sportiva da parte delle generazioni di origine straniera, della competenza dello Stato a dettare in via esclusiva le norme sulla “condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea”, ai sensi dell’art. 117, comma 2, Cost., lett. a).

A definire con certezza l’oggetto principale della materia “ordinamento sportivo”, è intervenuta la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 424/2004, in materia di attività sportiva dilettantistica, ha dichiarato che “non è dubitabile che la disciplina degli impianti e delle attrezzature sportive rientri nella materia dell’ordinamento sportivo e che in merito alla stessa operi il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni sancito dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione” e, inoltre, ha ribadito anche che le attività
degli enti di promozione sportiva ricadono nella materia concorrente “ordinamento sportivo”, benché essi siano associazioni, che attraverso la promozione e l’organizzazione di attività fisico-sportive, anche a livello amatoriale, hanno finalità ricreative e formative tra i giovani.

Il riconoscimento della funzione del C.O.N.I. di “promozione della massima diffusione della pratica sportiva, nei limiti di quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616”, prevista dall’art. 2 del d. lgs. n. 242/99, mette in evidenza, quindi, il rilevante ruolo che da sempre hanno le Regioni in materia.

Tra i più importanti interventi normativi, antecedenti alla riforma del Titolo V della
Costituzione del 2001, sul riparto di competenze in materia sportiva fra Stato e Regioni, vi sono certamente il D.P.R. n. 616/77, il d.l. n. 97/1995 e il d. lgs. n. 112/1998.

La legislazione regionale in ambito sportivo risulta fortemente diversificata nei provvedimenti emanati precedentemente alla fine degli anni Novanta, basati essenzialmente su politiche di pianificazione delle misure di sostegno economico in favore dei diversi enti ed organismi sportivi, e successivamente, finalizzati principalmente a promuovere i valori sottesi allo sport, quale strumento di cura del benessere
psico-fisico della persona, di tutela della salute, e, più in generale, di formazione educativa e sviluppo delle relazioni sociali, specialmente degli individui più deboli o svantaggiati. All’attenzione posta sullo sport praticato da soggetti con determinate specificità di genere, si associa anche il riconoscimento dell’importanza del fenomeno sportivo al di fuori degli ambiti della competizione da parte della legislazione regionale, che disciplina, altresì, le attività sportive svolte presso palestre e strutture sportive che non possiedono il riconoscimento da parte del C.O.N.I., relativamente alle quali risulta particolarmente rimarcato il concetto di sport quale strumento di integrazione sociale, nel senso
dell’inclusione sociale dei praticanti piuttosto che della selezione in base alle attitudini psico-fisiche, di tutela della salute e di formazione della persona.

  1. Il tesseramento dei minori straneri alla luce della normativa costituzionale di cui agli artt. 2, 3, comma 2, 4 e 18 Cost. e della più rilevante giurisprudenza del giudice delle leggi

Tanto premesso circa la cornice normativa che disciplina l’accesso alla pratica sportiva anche degli stranieri immigrati, occorre a questo punto del nostro lavoro comprendere quali siano gli interessi di rilievo costituzionale che la nuova normativa sul cd. ius soli sportivo (l.n. 12/2016) protegge e garantisce.

La disciplina dettata dalla legge n. 12/2016 può essere, infatti, ricondotta all’attuazione di specifici diritti protetti direttamente dalla Costituzione.

Al riguardo vanno, anzitutto, richiamati gli artt. 2 e 18 Cost..

Come e’ noto, il primo, nello stabilire che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, va interpretato, secondo una giurisprudenza oramai costante, come una norma “a fattispecie aperta”, e cioè volta a fondare la tutela di diritti non specificamente disciplinati dalla Costituzione, tra i quali inserire la protezione del “pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali, come pure diretta, nonostante il suo tenore testuale, a proteggere le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’uomo”.

Il secondo, nel garantire la possibilità di associarsi “liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”, fa un riferimento ai cittadini che, tuttavia, non va inteso in senso letterale: con la conseguenza che la norma si applica anche agli stranieri.

La disciplina dettata dalla nuova l.n. 12/2016 e’, dunque, adottata per garantire tali diritti, tanto più che essi vanno letti in combinato disposto con l’art. 3, comma 2, Cost., per il quale “e’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

In particolare, la pratica sportiva costituisce un’occasione formidabile per lo sviluppo della personalità del minore e per una piena integrazione dello stesso all’interno della società, come sottolineato dal sopra ricordato “Accordo di programma per la realizzazione di attività volte a favorire l’inclusione e l’integrazione sociale dei migranti di prima e seconda generazione attraverso lo sport e a contrastare le forme di discriminazione e intolleranza”, sottoscritto dal Ministero delle Politiche Sociali e CONI nel 2014 e rinnovato sia nel 2015 sia nel 2016.

E’ interessante ricordare che questa funzione dello sport e’ riconosciuta anche in seno all’Unione Europea.

In particolare, nell’art. 165 TFUE, inserito in un Titolo che reca la rubrica “Istruzione, formazione professionale, gioventù e sport”, al par. 2 si afferma che l’azione dell’Unione e’ volta a “sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l’equità e l’apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l’integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani tra di essi”.

Nel Libro Bianco dello Sport del 2007 della Commissione, poi, e’ espressamente riconosciuto che “lo sport promuove un senso comune di appartenenza e partecipazione e può, quindi, essere anche un’importante strumento di integrazione degli immigrati”.

Quanto ai profili legati più specificamente alla libertà di associazione e all’art. 18 Cost., occorre prendere le mosse dal tesseramento.

Esso può essere definito come l’atto che “si compie con l’iscrizione di un soggetto ad una associazione o società sportiva, che a sua volta provvede all’iscrizione dello stesso presso la competente federazione sportiva nazionale o disciplina sportiva associata, cui e’ affiliata”, con il conseguente “acquisto in capo alle persone fisiche della qualifica di soggetto dell’ordinamento sportivo”[1].

Al riguardo, l’art. 31 dello Statuto del CONI stabilisce che “gli atleti sono inquadrati presso le società e associazioni sportive riconosciute, tranne i casi particolari in cui sia consentito il tesseramento individuale alle Federazioni sportive, alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva”.

Se questi sono la natura e gli effetti del tesseramento, ne discende, da un lato, che l’impossibilita’ di accedervi incide sulla possibilità del singolo di inserirsi in formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, protetta dall’art. 2 Cost. e, dall’altro, che il regime del tesseramento ricade nell’ambito della libertà di associazione garantita dall’art. 18 Cost.: con la conseguenza che la cittadinanza straniera non può costituire un valido motivo per limitarla.

Al riguardo, illuminante appare il richiamo alla giurisprudenza della Corte Costituzionale la quale, quanto ai diritti fondamentali dell’uomo, ha riconosciuto che la “condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi”[2].

Tra le diverse pronunce del giudice delle leggi riveste particolare importanza la sent. n. 49/2011, in cui si afferma che “l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non può porsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le più diffuse formazioni sociali dove l’uomo svolge la sua personalità e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi liberamente per finalità sportive”.

Sempre nella stessa pronuncia si trova un ulteriore passaggio, molto utile per l’analisi della legislazione sul cd. ius soli sportivo.

In particolare si afferma che “la possibilità o meno, di essere ammessi a svolgere attività agonistica disputando le gare ed i campionati organizzati dalle Federazioni sportive facenti capo al CONI-il quale, a sua volta, e’ inserito, quale articolazione monopolistica nazionale, all’interno del Comitato Olimpico Internazionale-non e’ situazione che possa dirsi irrilevante per l’ordinamento giuridico generale e, come tale, non meritevole di tutela da parte di questo” e ciò poiché “e’ attraverso siffatta possibilità che trovano attuazione sia fondamentali diritti di libertà-fra tutti, sia quello di svolgimento della propria personalità, sia quello di associazione-che non meno significativi diritti connessi ai rapporti patrimoniali-ove si tenga conto della rilevanza economica che ha assunto il fenomeno sportivo, spesso praticato a livello professionistico ed organizzato su base imprenditoriale: tutti oggetto di considerazioni anche a livello costituzionale”.

Queste considerazioni del giudice delle leggi confermano la tesi sopra esposta, secondo la quale la disciplina introdotta ultimamente dalla legge n. 12/2016 vale a dare protezione a diritti garantiti a livello costituzionale dagli artt. 2, 4 e 18 Cost.[3].

Da ultimo e’ facile argomentare come le deduzioni del giudice delle leggi possono indurci ad agganciare la normativa in esame-allorquando sia destinata a trovare applicazione in fattispecie in cui e’ presente, nell’attivita’ sportiva, un’organizzazione imprenditoriale-anche all’art. 41 Cost., che garantisce, come noto, la libertà di iniziativa economica con i limiti della sicurezza, della libertà e della dignità umana e, dunque, con eccezioni che non possono in alcun modo essere invocate per escludere il tesseramento di un minore straniero.

  1. I criteri della cittadinanza e della residenza per il tesseramento del migrante con particolare riferimento alla pratica del calcio: lacci e lacciuoli della burocrazia normativa italiana al riconoscimento dell’effettività dell’attività sportiva degli atleti stranieri di seconda generazione

Il quadro normativo e costituzionale appena descritto evidenzia la “discreta” attenzione del legislatore, nazionale, regionale ed endofederale, all’attuazione di politiche programmatorie nei confronti dei migranti di seconda generazione desiderosi di praticare, con effettività ed impegno, lo sport e più in generale l’attività’ ludico-integrativa nel tessuto sociale italiano.

Tuttavia, dalla lettura costituzionalmente orientata del panorama legislativo-regolamentare del nostro ordinamento, emerge la difficoltà dello straniero immigrato di realizzare i suoi sogni sportivi, una volta approdato nelle coste italiane.

Ciò per l’esistenza di una serie di barriere burocratiche nell’accesso alle attività sportive: in particolare, nel mondo del calcio.

Per le seconde generazioni dell’immigrazione l’argomento risulta, pertanto, molto complesso anche in ragione del fatto che nella “maggior parte delle esperienze federali, le regole di partecipazione all’attività sportiva sono sostanzialmente allineate sul criterio dello status civitatis-e, dunque, sono subordinate alle regole di acquisto della cittadinanza tout court”.

Nel corso dell’anno 2016, la percentuale degli stranieri di età inferiore a venti anni che ha acquisito la cittadinanza italiana, sulla base della normativa in vigore[4], e’ stata pari al 41,2%.

Nonostante la tendenza positiva, il dato e’ indicativo della persistente inadeguatezza della legge per le acquisizioni di cittadinanza da parte dei ragazzi stranieri, sia per le difficoltà del procedimento sia per i requisiti richiesti, particolarmente rigidi per i cittadini di Paesi diversi da quelli appartenenti all’Unione Europea.

Resta comunque il fatto che fino agli ultimi interventi legislativi (vd. l.n. 12/2016), e’ risultato esiguo il numero delle Federazioni sportive la cui disciplina, anticipando il riconoscimento del cd. ius soli sportivo, ha consentito di accedere e praticare l’attivita’ sportiva, in maniera equiparata al cittadino italiano, allo straniero che non si trovava ancora nella condizione di essere riconosciuto come tale secondo l’ordinamento statale.

Emblematico di quanto appena sottolineato il caso della FIGC, la cui regolamentazione varia a seconda della categoria sportiva di appartenenza per cui, sulla base di quanto stabilito dall’art. 40, comma 7, delle norme organizzative interne della stessa FIGC (N.O.I.F.), per il settore professionistico afferente al Campionato di Serie A e’ possibile tesserare un numero limitato di calciatori di paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E. provenienti dall’estero.

Per quanto riguarda, invece, i Campionati di Serie B e di Divisione Unica della Lega Italiana Calcio Professionistico, e’ stabilito che le relative società non possono tesserare extracomunitari, ad eccezione dei minorenni che intendano assumere per la prima volta lo status di giovane di Serie, mentre una situazione intermedia caratterizza le società dilettantistiche[5].

Quanto finora descritto consente di far emergere i nodi critici riguardanti i vari e molteplici aspetti legati al diritto allo sport, e non solo, dei minori e dei giovani di origine straniera, che sono direttamente connessi sia alle modalità di acquisizione della cittadinanza italiana, secondo la normativa vigente, che alla titolarità del permesso di soggiorno per i cittadini di paesi non aderenti all’Unione Europea.

Inoltre, anche per la pratica sportiva, come visto, i minori stranieri che ottengono il tesseramento risultano titolari di diritti e di garanzie, in misura prevalente rispetto ai maggiorenni non cittadini.

Risulta, infatti, esserci anche in ordine a questa fattispecie un’importante differenziazione tra i maggiorenni ed i minorenni di origine straniera, legata alla più intensa tutela riservata ai secondi.

Il minore straniero, sprovvisto del permesso di soggiorno, risulta irregolare, anche se nato in Italia e privo di contatti con il paese di origine dei propri genitori ma, diversamente dall’adulto, il fatto di “ trattenersi” illegalmente nel territorio dello Stato, quand’anche figlio di genitori privi di permesso di soggiorno, per lui non può costituire reato.

Nei confronti del minore straniero non e’, invero, prevista un’esclusione esplicita dall’ambito di applicazione della fattispecie di reato di ingresso e soggiorno illegale di cui all’art. 10-bis del T.U. Immigrazione, come introdotto dalla l.n. 94/2009: va osservato, al riguardo, che vige non solo la regola cardine della non espellabilità del minore straniero, salvo il diritto di seguire il genitore o l’affidatario espulsi, ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. a) del T.U. Immigrazione, ma anche l’obbligo di rendere legale la sua presenza.

Particolarmente delicata, invece, e’ la situazione in cui il maggiorenne non italiano si trovi in condizione di clandestinità, in considerazione delle conseguenze che, in base all’attuale normativa, il reato di ingresso e soggiorno illegale comporta per gli adulti stranieri irregolari.

In conclusione sul punto emerge come a differenza di altri diritti, quali quelli all’istruzione o alla salute, il mancato possesso di un permesso di soggiorno e la conseguente impossibilità di tesseramento comportano l’esclusione dall’accesso al diritto allo sport dei non cittadini.

Essendo il diritto allo sport, come visto in precedenza, riconducibile alla categoria dei diritti fondamentali inalienabili costituzionalmente garantiti, si può giungere ad affermare che l’insufficienza, piuttosto che l’assenza di tutela di tale diritto per lo straniero irregolare, determina un assoluto mancato riconoscimento a chi ne e’ indubbiamente titolare.

  1. La legge n. 12/2016 sul cd. ius soli sportivo: nuova speranza di praticare lo sport da parte del migrante straniero?

Le numerose difficoltà che il minore straniero verosimilmente incontrerà nel suo percorso di inclusione sociale ed integrazione nella comunità nazionale a causa della descritta complessità della normativa italiana ed endofederale (nello specifico, quella del calcio), nonostante il palese riconoscimento del diritto allo sport quale veicolo di garanzie costituzionali ammesse pure dal giudice delle leggi, possono trovare luogo di incontro e soluzione grazie al provvedimento legislativo approvato nel 2016 dalle Camere del Parlamento Italiano: la legge sul cd. ius soli sportivo.

La menzionata normativa riconosce la possibilità ai minori stranieri, presenti in Italia per le più diverse motivazioni e che si trovino in particolari condizioni, di tesserarsi presso le società sportive e di praticare lo sport parimenti ai cittadini italiani, costituendo il tesseramento, in questo caso, da mezzo di integrazione sociale e culturale.

Precisamente la nuova disposizione della l.n. 12/2016 stabilisce che: “1. I minori di anni diciotto che non sono cittadini italiani e che risultano regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età possono essere tesserati presso società sportive appartenenti alle federazioni nazionali o alle discipline associate o presso associazioni ed enti di promozione sportiva con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani”.

Il secondo comma aggiunge che “2. Il tesseramento di cui al comma 1 resta valido, dopo il compimento del diciottesimo anno di età, fino al compimento delle procedure per l’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei soggetti che, ricorrendo i presupposti di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, hanno presentato tale richiesta”.

Già le diverse Relazioni delle Commissioni Cultura ed Istruzioni Pubblica avevano chiarito come “La vigente legislazione in tale materia presenta alcune criticità poiché, a causa del rapporto tra l’ordinamento giuridico generale e l’ordinamento sportivo, vengono a determinarsi limiti alla possibilità dei minori di nazionalità non italiana di partecipare alle attività sportive giovanili. Si tratta di limiti non coerenti con la funzione sociale dello sport e contrari all’interesse generale a favorire l’integrazione sociale dei minori
stranieri regolarmente residenti nel territorio nazionale”.

Le suddette Commissioni, riunite in sede referente per l’approvazione della legge n. 12/2016, proseguivano sottolineando che l’intervento legislativo in questione è “teso, da un lato, a rendere omogenea la regolamentazione del tesseramento per le diverse discipline sportive, eliminando l’attuale ingiustificata discriminazione tra alcune di esse e le altre,
e dall’altro lato a favorire la più ampia partecipazione sportiva dei minori stranieri, in coerenza con i principi e le regole che assicurano la piena tutela a tutti i minori che fanno ingresso nel territorio dello Stato, sanciti fra l’altro dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo” e che con esso “si intende assicurare l’accesso alla pratica sportiva per tutti i minori residenti nel territorio italiano e quindi riconoscere e tutelare l’accesso dei minori stranieri allo sport, inteso come «qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o no, abbia per obiettivo il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni a tutti i livelli», secondo la definizione adottata dalla Commissione dell’Unione europea nel Libro Bianco sullo Sport del 2007”.

Comunque, il passo più importante delle menzionate Relazioni è senz’altro quello in cui si evidenzia che la maggior parte della normativa endofederale impedisce a giovani talenti, figli di genitori aventi la cittadinanza di Stati non appartenenti all’Unione europea ma nati e/o cresciuti in Italia e, quindi, seconde generazioni dell’immigrazione in senso stretto, una volta iniziato un percorso sportivo, a poter seguire i compagni nell’attività agonistica, con l’effetto inaccettabile e discriminatorio di negare loro “il diritto di fare attività sportiva, divertirsi, competere, crescere e integrarsi in una società dove, ovviamente, si sentono a casa loro”.

Ugualmente, nel testo della Relazione della VII Commissione Permanente Istruzione pubblica, Beni culturali, Ricerca scientifica, Spettacolo e Sport sul disegno di legge dopo l’approvazione alla Camera avvenuta in data 14 aprile 2015 ed il passaggio al Senato della Repubblica (d.d.l. S n. 1871), si ribadisce che esso “intende assicurare il tesseramento dei minori stranieri residenti in Italia presso le società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, le discipline sportive associate, gli enti di promozione sportiva, con le stesse procedure previste per i cittadini italiani” attraverso la rimozione delle regole e degli iter
“che impediscono il tesseramento di giovani non in possesso della cittadinanza italiana nel momento del passaggio dall’attività sportiva di base a quella agonistica, in modo tale da consentire agli stessi la prosecuzione della carriera sportiva intrapresa”.

La legge n. 12/2016 sembrerebbe riferirsi al tesseramento di minori stranieri residenti in Italia esclusivamente presso le società sportive appartenenti alle Federazioni nazionali, alle Discipline associate o agli Enti di promozione sportiva facenti parte del c.d. “sistema sportivo istituzionalizzato” al cui vertice, come descritto, è posto il C.O.N.I., escludendo “dal suo ambito di applicazione le ipotesi di tesseramento presso enti affiliati a Federazioni non riconosciute dal CONI, ovvero, presso enti che, ancorché inseriti nel sistema CONI, rivestano la natura giuridica di associazioni sportive”.

Rinvenendosi nel fine dell’integrazione sociale la ratio della legge, si può ritenere che la portata applicativa della stessa debba essere estesa anche a questi altri soggetti, in ordine ai primi, giacché le attività sportive non possono essere ricondotte unicamente a quelle collocate e regolamentate all’interno del predetto sistema, essendo la loro qualificazione indipendente rispetto al formale riconoscimento da parte del C.O.N.I., e potendo, altresì, variare nel tempo, e in merito ai secondi, poiché per l’esercizio in forma
associata dell’attività sportiva viene in maggior misura scelta la formula dell’associazione sportiva dilettantistica (A.S.D.) con finalità sportive senza scopo di lucro, tipicamente affiliata ad un Ente di promozione sportiva e riferimento prevalente nel mondo sportivo dilettantistico, mentre “la forma societaria è prescritta dalla legge soltanto per l’esercizio in forma associata delle attività sportive professionistiche, le quali sono riferite oggi soltanto a cinque federazioni (calcio, basket, boxe, ciclismo e golf) e una disciplina sportiva associata (tiro dinamico sportivo) e, all’interno di queste, soltanto ad alcuni
limitati settori”.

Solamente considerando un ambito di applicazione del provvedimento legislativo sullo
ius soli sportivo, il quale è stato fortemente sostenuto proprio dalle associazioni e dalle società sportive, più ampio rispetto alla sua formulazione letterale è possibile superare la precedente situazione di sostanziale preclusione alla pratica sportiva, in particolare dei ragazzi di origine extracomunitaria, e realizzare il miglior perseguimento del fine dell’inserimento nella società italiana, attraverso lo sport, dei minori di seconda generazione dell’immigrazione.

  • Presenza di rilevanti limitazioni nelle disposizioni della legge n. 12/2016?

Sembrerebbe che la novità insita nella l.n. 12/2016 volta a creare il giusto humus giuridico-normativo per lo svolgimento effettivo della pratica sportiva da parte degli immigrati minori di età, trovi rilevanti limitazioni nello scorrimento delle sue principali enunciazioni.

La prima apparente limitazione riguarda il fatto che è la legge in commento e’ rivolta ai minori stranieri che hanno fatto ingresso in Italia prima del compimento dei 10 anni, determinando così l’esclusione di molti giovani anche di poco più grandi, con l’effetto di provocare un’ulteriore disparità di trattamento tra gli stessi minori di origine straniera, e non solo tra quest’ultimi e i minori italiani.

Detta restrizione è dettata dalla presunzione che per un minore entrato in così tenera età in Italia il rischio di essere soggetto ai traffici illeciti dei giovani talenti sportivi, come nel recente caso in cui è stata scoperta la tratta di baby calciatori provenienti dall’Africa e portati in Europa tramite documenti contraffatti sulla base di falsi rapporti di parentela, tra i quali un promettente centrocampista dell’Inter Assane Gnoukouri, possa così ridursi[6].
La seconda limitazione è legata alla possibile interpretazione restrittiva del concetto di “regolarmente residenti”, che richiede che i minori stranieri siano titolari di un permesso di soggiorno e siano iscritti all’anagrafe di un Comune italiano, portando così all’impossibilità di tesseramento sia di coloro che, pur essendo presenti da molti anni, se non dalla nascita, sul territorio italiano, si trovino in assenza di tali requisiti in quanto figli di genitori irregolari, sia di quelli non accompagnati ed oggetto di tutela o affidamento.

Al riguardo, va richiamato quanto già osservato in merito alla circostanza che il T.U.  Immigrazione prevede che, con riferimento al minore straniero extracomunitario sprovvisto del permesso di soggiorno vige sia la regola cardine della sua non espellibilità che l’obbligo di rendere legale la sua presenza, in quanto rientrante nelle categorie vulnerabili[7].

Il richiesto requisito della regolare residenza dovrebbe, pertanto, essere interpretato alla luce del disposto dell’art. 43, comma 2, del c.c. che prescrive che “La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”, collegandolo in tal modo alla semplice presenza del minore sul territorio, indipendentemente dalla condizione di regolarità o meno
della posizione giuridico-amministrativa in ordine alle norme relative all’ingresso ed al soggiorno dei genitori.

Pertanto, le apparenti due limitazioni contenute nella l.n. 12/2016 non evitano ne’ escludono, così interpretate, il corretto ed effettivo svolgimento della pratica sportiva in Italia ai minori immigrati.

Vi è, in conclusione, la percezione e la concreta sensazione che il legislatore statale dello ius soli sportivo abbia inciso con la descritta normativa sull’autonomia dell’ordinamento sportivo, pur rimanendo nella competenza delle singole Federazioni sportive e Discipline sportive associate uniformarsi alla nuova disciplina sul tesseramento dei minori stranieri.

Quest’ultime hanno variamente e non del tutto esplicitamente cercato di adeguare i
propri Statuti e regolamenti nel rispetto sia della normativa dell’ordinamento giuridico italiano che di quella dell’ordinamento sportivo ed in particolare delle regole delle federazioni internazionale di riferimento.

Nonostante le problematiche descritte, la l. n. 12/2016 ha il merito di aver indotto gli enti sportivi a rendere comunque più omogenea la regolamentazione del tesseramento per le diverse discipline sportive, riducendo ove possibile la diversità di trattamento tra atleti italiani e atleti stranieri e favorendo in particolare la più ampia partecipazione dei minori stranieri, che stabilmente vivono nel nostro Paese, allo sport.

  1. La legge sullo ius soli sportivo non e’ la sola per le speranze del migrante!

Accanto alla legge sulla “cittadinanza sportiva”, si pone il secondo intervento legislativo in materia di tesseramento di atleti stranieri ovvero la disposizione di cui all’art. 1, comma 369, della già menzionata l.n. 205/2017, che istituisce, presso l’Ufficio per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un apposito «Fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo italiano», le cui risorse sono “destinate a finanziare progetti collegati a una delle seguenti finalità: a) incentivare l’avviamento all’esercizio della pratica sportiva delle persone disabili mediante l’uso di ausili per lo sport; b) sostenere la realizzazione di eventi calcistici di rilevanza internazionale; c) sostenere la realizzazione di
altri eventi sportivi di rilevanza internazionale; d) sostenere la maternità delle atlete non professioniste; e) garantire il diritto all’esercizio della pratica sportiva quale insopprimibile forma di svolgimento della personalità del minore, anche attraverso la realizzazione di campagne di sensibilizzazione; f) sostenere la realizzazione di eventi sportivi femminili di rilevanza nazionale e internazionale”.

Ai nostri fini, il punto di maggior interesse del provvedimento è quello che prevede che, per consentire il pieno ed effettivo esercizio del diritto alla pratica sportiva di cui alla lettera e), “i minori cittadini di Paesi terzi, anche non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, laddove siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano, possono essere tesserati presso società o associazioni affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate o agli
enti di promozione sportiva, anche paralimpici, senza alcun aggravio rispetto a quanto previsto per i cittadini italiani”.

Con questa prescrizione, intanto, ci si riferisce al tesseramento dei minori extracomunitari presso sia le società che le associazioni sportive, dirimendo così il dubbio sull’individuazione degli organismi sportivi coinvolti e, poi, vi è certamente un apprezzabile tentativo di
superare la seconda delle suesposte limitazioni della l.n. 12/2016 relativa alla regolarità della residenza, attraverso il collegamento con il percorso formativo in Italia, seppure di un solo anno scolastico, che ricorda la nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana secondo il criterio dello ius culturae prevista nell’ambito dell’ultima proposta di riforma della l.n. 91/1992, a sottolineare la funzione di veicoli di integrazione sia dell’istruzione che dello sport che si intersecano in tale contesto in maniera sinergica ed empatica per favorire da un lato “l’integrazione sportiva dei minori stranieri, anche irregolarmente soggiornanti che già frequentano regolarmente la scuola italiana” e dall’altro “indirettamente anche l’accesso all’istruzione obbligatoria”.

  1. Il calcio come simbolo di rifugio e di asilo nell’ottica dell’integrazione e dell’inclusione sociale

Dopo la disamina affrontata nei precedenti paragrafi afferente il quadro normativo, costituzionale e problematico del riconoscimento, in Italia, del diritto allo sport dei migranti stranieri, una serie di considerazioni di carattere socio-culturale sull’argomento vanno necessariamente trattate.

Gli stadi costituiscono dei luoghi di incontro, di contatto e di aggregazione che consentono di creare dei circoli virtuosi e di solidarietà con i compagni provenienti da altri Paesi, di ricostruire un’identità smarrita nonché di ritrovare il sorriso.

Alcune testimonianze rendono la citata affermazione corrispondente alla realtà ed al fenomeno dell’inclusione sociale nel calcio.

Il difensore Omar della squadra Migranti San Francesco osserva in questo senso: “sono contento quando sono in campo. Mi diverto, rido e scherzo con i miei compagni. Ho l’impressione di essere in Mali”.

Il calcio per i rifugiati e’ anche uno strumento di inclusione sociale con le comunità autoctone e straniere.

I rifugiati partecipano con disinvoltura alle attività ricreative di beneficenza o di solidarietà organizzate nelle città in cui vivono.

Tale partecipazione ha un valore simbolico in quanto si lega ad alcuni segni esteriori caratteristici del Paese di origine (ad esempio indossare la maglietta di calcio della propria nazionale, organizzare, in concomitanza delle partite, feste con cucina e musica del proprio Paese).

Questi segni, indice di riferimento nostalgico, sono anche alla base di ciò che lo studioso Gasparini chiama “Lo Sport fai da te”, cioè non solo espressione di un forte sentimento di identità, ma anche di una risposta contro le discriminazioni, vaghe e quotidiane, reali o simboliche che subiscono gli immigrati[8].

Di fronte alla stigmatizzazione ed alla discriminazione, per alcuni rifugiati il calcio costituisce forse l’unica e/o l’ultima carta da giocare per sconfiggere gli stereotipi e farsi valere.

Ecco perché vincere una semplice partita amichevole (con determinazione, grinta e passione), assume un valore che và al di là della vittoria conquistata sul campo.

Si tratta di una vittoria che è sintomo di consapevolezza del proprio valore, una vittoria che smentisce ogni discorso sull’inferiorità della propria cultura, una vittoria che sa di riscatto rispetto ai funesti episodi che hanno preceduto l’arrivo in Italia, una vittoria, infine, che vuole trasmettere una buona e nuova immagine di sé reclamando rispetto in campo e fuori dal campo.

  • Educazione civica ed inserimento professionale

Oltre a ciò, il calcio rappresenta lo strumento ideale che consente da una parte alle squadre di presentare in modo naturale la società di arrivo ai propri giocatori e, dall’altra parte ai rifugiati-giocatori di presentarsi senza troppi imbarazzi, risvegliando invece le coscienze per superare ogni forma di discriminazione.

In questo senso, altre testimonianze confermano l’assunto.

Un giocatore di Liberi Nantes sottolinea: “spesso di fronte agli italiani mi presento come un calciatore. E questo mio profilo porta i miei interlocutori ad avere un certo interessamento nei miei confronti”.

Nell’ambito delle varie trasferte, i giocatori hanno l’opportunità’ di scoprire con serenità la loro società di adozione, cambiando così non solo la loro geografia mentale del territorio, ma soprattutto la loro percezione del viaggio: questa volta, molto più piacevole e con rischi minori.

Il calcio, quindi, costituisce un’occasione ideale per conoscere e rispettare le regole della società ospitante senza vedere la propria dignità calpestata.

Il contatto frequente con gli italiani (allenatori e dirigenti), con i quali gli stranieri hanno un rapporto di fiducia molto forte, porta i rifugiati-calciatori ad acquisire, in modo spontaneo e guidato, delle nozioni di cultura civica legate al contesto italiano.

Ad esempio la puntualità, la precisione e la costanza acquisite dai giocatori di Hearts Eagle (Torino), sono state importanti anche nell’ottica dell’inserimento professionale dei ragazzi.

Come raccontato da Tommaso Pozzato, presidente della menzionata squadra, “in seguito alla chiusura dei centri di accoglienza l’obiettivo del nostro progetto è mutato per seguire le esigenze dei nostri atleti aiutandoli a trovare un lavoro. Per quattro di loro, ad esempio, si sono aperte le porte di uno stage presso l’Oreal di Settimo Torinese”.

Un’esperienza simile si e’ verificata nelle altre squadre: Roberto Arena, presidente di Survivor, sottolinea che nella sua squadra “lo sport e’ la palestra per raggiungere altri percorsi. Grazie ai progetti di reinserimento sociale, decine di ragazzi sono riusciti a trovare un lavoro stabile e una casa”.

Nella squadra di Opti Pobà i giocatori vengono coinvolti in attività di laboratori creativi, come sottolinea il referente Francesco Giuzio.

Partendo dall’analisi dei bisogni effettivi, l’obiettivo della squadra Migranti San Francesco, osserva Don Doriano, e’ quello di accompagnare i giocatori anche in diversi percorsi professionalizzanti.

Molti giocatori di questa squadra hanno in effetti trovato lavoro in varie strutture ricettive nel senese e in altri settori.

  • Il sogno di diventare un campione di calcio

Oltre a rappresentare per tutti gli immigrati stranieri uno stimolo ed un fattore alla inclusione sociale nel territorio italiano, il calcio diventa per gli stessi motivo per coltivare sogni di gloria.

Prima di sbarcare in Italia, molti rifugiati aspirano, infatti, a diventare calciatori professionisti.

Un giocatore osserva che: “noi sappiamo e vogliamo giocare, ma non c’e’ nessuno che ci porta a fare dei provini”.

Per non far svanire il loro sogno di gloria, i campionati amatoriali e dilettantistici nei quali militano questo giocatori sono considerati solo come un punto di partenza per raggiungere tali obiettivi.

Alcune testimonianze rendono bene le sopra esposte argomentazioni.

Ibra, l’attuale capitano della squadra Migranti San Francesco, originario del Gambia, non ha perso tempo al suo arrivo in Italia: il primo giorno in cui ha incontrato il suo allenatore gli ha subito detto che il calcio era il suo biglietto da visita.

Oltre al caso del nigeriano Ghabo, che ha iniziato con la squadra del Cara Mineo di Catania e poi è approdato in Bundesliga (Germania) nella squadra dell’Hoffenheim, l’esempio emblematico e’ quello del guineano Salim Cissè.

Questi, da Borgo Massimino (squadra romana di prima categoria), dopo un passaggio ad Arezzo, è attualmente un giocatore della nazionale guineana e dello Sporting Lisbona: club che, come noto, milita nella massima serie della Lega portoghese.

Anche se tutti non avranno la fortuna di arrivare ai livelli di Cissè e Ghabo, a tutti si deve garantire il diritto di sognare, di essere felice correndo dietro un pallone e di conservare la passione dell’infanzia per affrontare ambiziosamente un futuro difficile ed impervio.

 

Conclusioni.

Dall’analisi effettuata con il presente lavoro emerge come ai ragazzi con background migratorio, nati e/o cresciuti in Italia, che generalmente acquisiscono la cittadinanza italiana successivamente al compimento della maggiore età e a determinate condizioni, dovrebbe essere pienamente consentito, anche prima del raggiungimento della maggiore età, in quanto a tutti gli effetti “italiani non cittadini”, di poter competere nelle diverse categorie di tutte le discipline sportive, conquistare i titoli di campione sia a livello regionale che nazionale e “vestire la maglia dell’Italia” nelle sede internazionali.

A ciò, come visto nel corso del lavoro, ha contribuito il legislatore nazionale con la pubblicazione ed entrata in vigore del principio del cd. ius soli sportivo (l.n. 12/2016).

Tale normativa ha tenuto conto, inevitabilmente, della cornice imprescindibile dei principi costituzionali ex artt. 2, 3, 4, 18 e 41, che costituiscono il fondamento inviolabile dello status sportivo non solo del cittadino italiano ma anche dello straniero migrante arrivato nel suolo nazionale.

La denominazione ius soli sportivo attribuita alla l.n. 12/2016 richiama quella dello ius soli dell’ultima proposta di riforma della legge sulla cittadinanza italiana mai definitivamente approvata, ma nonostante ciò, seppure la cittadinanza sportiva rappresenta un passo importante per i figli dell’immigrazione, è solamente con una legge sulle acquisizioni della cittadinanza più aperta nei loro confronti che molte delle problematiche riguardanti la ridotta o mancante effettiva tutela dei loro diritti, anche in ambito sportivo, potrebbero essere risolte.

Lo sport può e deve essere a tutti gli effetti considerato tra i principali strumenti in grado di favorire l’integrazione e l’inclusione sociale, in particolare, dei ragazzi di origine straniera, per in quali rappresenta un altro degli aspetti dello sviluppo individuale, oltre a quello dell’istruzione, che ne consente la riduzione della diseguaglianza socio-economica rispetto ai ragazzi italiani ed in ordine a cui le politiche ad hoc, nazionali, regionali ed endofederali, e tra queste certamente una politica dello sport nell’ambito di un quadro legislativo e regolamentare appropriato e di un adeguato sostegno finanziario, risultano decisive e fondamentali.

L’attuale vigenza ed applicazione dei principi costituzionali sopra riportati, come inglobati ed acquisiti nella recente analizzata normativa, espressivi del diritto alla pratica dello sport da parte dei minori stranieri residenti in Italia ex l.n. 12/2016, conduce inevitabilmente ad interrogarsi sulla legittimità delle norme che limitano il tesseramento di sportivi maggiorenni provenienti da Paesi diversi dall’Unione Europea: in altri termini, se il tesseramento incide sulla garanzia degli artt. 2, 4 e 18 Cost., si può ritenere che per gli adulti esso possa essere limitato in ragione della cittadinanza?

Il tema e’ molto affascinante ma rappresenta una storia che si dovrà raccontare un’altra volta.

Per il momento si deve prestare attenzione alla proposta di modifica della legge 91/1992, che già il Ministro allo Sport del Governo Letta, Iosefa Idem, nell’anno 2013, aveva presentato in sede di audizione alla VII° Commissione Senato, nel senso di permettere l’acquisto della cittadinanza italiana in favore degli atleti stranieri che si sono distinti
per alti meriti sportivi, nonché dei minori stranieri tesserati alle Federazioni
Sportive Nazionali, i cui genitori siano regolarmente soggiornanti in Italia.

Sarebbe un primo sforzo ed un notevole passo in avanti per raggiungere il tanto auspicato collegamento tra i diversi ordinamenti, quello nazionale e quello sportivo in primis, che in forza della consolidata autonomia del secondo, viene continuamente impedito da quei lacci e lacciuoli burocratici presenti nella normativa italiana.

Potrebbe essere, quindi, l’ultimo e serio tentativo di dare voce all’immigrato adulto che approda in Italia per cercare un’ancora di salvezza dal background di miseria e disperazione incontrati nel Paese di origine.

Potrebbe essere, ancora, l’impegno degli Organi nazionali, pure quello endofederale, a riconoscere a questa categoria di “non cittadini”, l’appartenenza ad un nuovo contesto sociale in virtù del riconoscimento, all’immigrato, del diritto alla pratica sportiva nell’ottica di una ricercata e costituzionalmente esistente inclusione ed integrazione sociale.

La l.n. 12/2016 sul cd. ius soli sportivo, pur non scevra da naturali limitazioni ed ovvie contestazioni, rimane, al momento, il solo baluardo (unitamente alla l.n. 205/2017), all’indifferenza socio-culturale nei confronti degli immigrati, seppur minori.

Occorre fare di più per le categorie di migranti extracomunitari tagliati fuori dalla normativa in materia di ius soli sportivo.

Ma questa, come si e’ detto sopra, e’ un’ altra storia, a cui lo scrivente non può che lanciare un semplice campanello di allarme e sulla quale le istituzioni dovranno a breve sicuramente cimentarsi.                                            Avv. Paolo Stoppini

 

 

BIBLIOGRAFIA

ALBERTA DE FUSCO, La partita dell’integrazione delle seconde generazioni dell’immigrazione: l’effettività del diritto allo sport per i minori di origine straniera dalla legge n. 12/2016 ad oggi, federalismi.it-2019

 

  1. DINELLI, Tesseramento sportivo e acquisto della cittadinanza italiana, in Rivista di Diritto Sportivo, n. 2/2016
  1. VARI, Profili costituzionali del cd. ius soli sportivo: il tesseramento dei minori stranieri tra disciplina legislativa e drittwirkung dei dritti fondamentali, in Rivista di Diritto Sportivo, 2016
  1. PIRISI, Figc: il nuovo tesseramento professionistico dei cittadini extracomunitari, studiocataldi.it, 03.08.2018
  1. SIEBETCHEU, La cittadinanza sportiva in Italia: mito o realtà?, in Africa e Mediterraneo 84, agosto 2016

[1] In giurisprudenza, vd. Trib. Di Massa, sent. 15 aprile 2015 n. 396: “stipulando il tesseramento l’atleta instaura un autentico rapporto contrattuale con la propria associazione e, conseguentemente, accetta le clausole statutarie e regolamentari della relativa federazione”.

[2] Così Corte Cost. sent. 25 luglio 2011 n. 245. Nello stesso senso, vd. anche Corte Cost., sent. 8 luglio 2010 n. 249.

[3] Accanto al riconoscimento da parte della Corte Costituzionale dell’effettiva esistenza di principi di rango costituzionale all’esercizio della pratica sportiva degli immigrati, pure i Tribunali Ordinari della Repubblica si sono basati sull’assunto che, a tutti i livelli, i cittadini extracomunitari in possesso della residenza sul territorio nazionale e del permesso di soggiorno per motivi umanitari debbono considerarsi “equiparati” ai cittadini comunitari. Fra i primi, si segnalano: Ordinanze del Tribunale di Lodi del 13.05.2010, di Varese del 2.12.2010 e di Pescara n. 656/2011.

[4] Sulla normativa attualmente in vigore, DE FUSCO ha sottolineato che l’acquisizione della cittadinanza italiana “appellandosi primariamente al criterio dello ius sanguinis, e’ basata su una concezione familista del diritto alla cittadinanza, diritto soggettivo per i figli di un cittadino italiano e, in presenza di requisiti minimi, anche per la discendenza di questi. In assenza di parentela italiana, è alquanto complesso diventare cittadini italiani e, infatti, l’Italia, con una legislazione in cui lo «ius sanguinis» è appena temperato dallo «ius soli», risulta essere il paese meno aperto alla concessione della cittadinanza tra i 28 Stati dell’Unione europea. All’interno della categoria delle seconde generazioni dell’immigrazione, lo straniero nato in Italia può acquisire la cittadinanza per elezione, ossia per beneficio di legge ex art. 4, comma 2, della l. n. 91/1992, a condizione che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età e lo dichiari entro un anno dalla suddetta data, mentre per i non nati in Italia l’accesso alla cittadinanza italiana può avvenire per trasmissione dai genitori ex art. 14 della legge o per naturalizzazione, ovvero per concessione ex art. 9 della legge, sulla base del requisito della residenza legale nel territorio della Repubblica per un certo numero di anni. I minori stranieri adottati o affidati a scopo di adozione, anch’essi parte delle seconde generazioni dell’immigrazione, acquistano la cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 3 della legge, mediante provvedimento dell’Autorità Giudiziaria italiana oppure, in caso di adozione pronunciata all’estero, mediante provvedimento dell’Autorità straniera reso efficace in Italia con ordine, emanato dal Tribunale per i Minorenni, di trascrizione nei registri dello stato civile. Fino ad un decennio addietro, il minorenne adottato, al momento del suo ingresso in Italia, era ritenuto a tutti gli effetti uno straniero che necessitava del permesso per il suo soggiorno, obbligo venuto meno con il d.m. del 21 febbraio 2007 che ne ha migliorato il percorso di integrazione”.

[5] L’art. 40 quater, comma 1, delle N.O.I.F. prescrive che “Le società della Lega Nazionale Dilettanti possono tesserare, entro il 31 dicembre, e schierare in campo due soli calciatori extracomunitari, ovvero due sole calciatrici extracomunitarie, un numero illimitato di calciatori/calciatrici di cittadinanza comunitaria, che siano stati tesserati per società appartenenti a Federazioni estere, purché in regola con le leggi in materia di immigrazione, ingresso e soggiorno in Italia”.

[6] Sul tema della possibile presenza della rilevata limitazione all’accesso contenuta nelle disposizioni della l.n. 12/2016 e’ intervenuto di recente DINELLI il quale, interrogandosi sul trattamento riservato, in ordine al loro tesseramento, ai minori stranieri residenti da minor tempo, magari anche dal compimento dell’undicesimo anno di età, considera che “La risposta che appare più corretta è che dipende dalle scelte «normative» delle singole federazioni, alle quali non è certo preclusa la possibilità di estendere il tesseramento degli stranieri anche al di là dell’ipotesi contemplata dalla norma. Questa, quindi, potrebbe essere considerata come una «garanzia minima», una sorta di livello essenziale valevole per tutte le federazioni e associazioni”. Sempre sul punto della prima apparente limitazione lo studioso VARI ritiene che “Se sono fondate le considerazioni [..] sui diritti che vengono in gioco con riferimento al tesseramento ‒ in particolare, quelli protetti dagli artt. 2, 4 e 18 Cost. ‒ non appare possibile ritenere che il limite posto dal legislatore, costituito dall’arrivo in Italia prima del decimo compleanno, abbia un carattere assoluto e
debba sempre trovare applicazione. Al contrario, un’interpretazione costituzionalmente orientata impone  di ritenere che la legge n. 12/2016 detti una disciplina minima, suscettibile però di ulteriore ampliamento: in sostanza, la legge sullo ius soli sportivo sembrerebbe imporre l’equiparazione della posizione del minore straniero a quello italiano sempre nel caso di minori entrati in Italia prima del compimento del decimo anno; per quelli entrati dopo, però, si può, anzi, rectius, si deve consentire il tesseramento nel momento in cui non vengono in gioco esigenze di protezione della gioventù”.

[7] Sempre DINELLI ritiene che per ragioni di ordine sistematico, la regolarità della residenza a partire dal compimento del decimo anno di età, richiesta per il tesseramento sportivo dall’art. 1 della l.n. 12/2016, debba essere interpretata in modo non formale, ovvero senza assumere come dirimente l’elemento dell’iscrizione anagrafica nel registro della popolazione residente, dovendo essere consentito al minore di dimostrare, comunque, attraverso altri idonei elementi, la legittimità della sua presenza sul territorio dello Stato a partire dal compimento del decimo anno di età.

[8] “In realtà, più gli immigrati sono situati in basso nella scala sociale, subendo discriminazioni (reali o percepite), più il sentimento di identità comunitaria si rafforza” (sempre Gasparini).

 

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